Lato anteriore di sarcofago con caccia al leone

Inv. Scu 221

Fronte di un sarcofago di grandi dimensioni, del tipo cosiddetto “a lenòs” (a vasca), con movimentata scena di caccia al leone. Inquadrano la battuta di caccia due protomi di leone, in alto a destra e a sinistra: all’interno della scena, si muovono leonesse, caduti, guerrieri, la personificazione della Virtus, dea romana del coraggio e del valore militare.
Virtus è identificata grazie agli attributi che la caratterizzano: l’elmo con lungo cimiero, la sottile tunica (chitone) lunga fino al ginicchio che lascia scoperto il seno destro, la cintura militare (balteo) che pende dalla spalla destra ed il fodero di spada sul fianco sinistro; indossa inoltre un manto fermato da una grossa fibula sulla spalla sinistra, ed elaborati “mullei” (sandali) fatti di pelle di fiera selvatica, le cui zampe pendono sui lati.

Quasi al centro, è il protagonista, a cavallo, il cui ritratto riproduce le sembianze di un uomo maturo: evidentemente si tratta del defunto. Indossa un’armatura (lorica) con un corsetto aderente al petto decorato da squame sopra una corta tunica con rimbocco cinto poco sopra la vita; il mantello (paludamentum) è fermato da una fibula sulla spalla destra e svolazza sul retro nel pieno galoppo; i piedi sono calzati da alti mullei allacciati, mentre dal balteo, sul fianco sinistro pende il fodero della spada.

L’analisi stilistica del rilievo e i caratteri del volto del protagonista permettono di determinare con una certa precisione la cronologia dell’opera; il ritratto infatti è stato datato intorno alla metà del III secolo d.C, sulla base della struttura cubica della testa, delle proporzioni allungate del volto e della disposizione della capigliatura, con la forbice al centro della fronte.

Allo stesso orizzonte cronologico rimandano anche il formato monumentale del sarcofago e l’analisi stilistica dei vari elementi del rilievo figurato, ad esempio l’esecuzione della capigliatura dei cacciatori a lunghe ciocche a “fiamme”.

Come per gli altri esemplari della classe, grandiosi per dimensione e decorazione, è verosimile identificare il destinatario di questo sarcofago con un membro dell’élite romana del periodo, un ufficiale di rango elevato o un importante magistrato.

Due possibili letture sono state date riguardo all’iconografia del sarcofago. La prima è che la scelta del tema figurativo fosse stata condizionata dalla volontà di celebrare il valore che il defunto aveva dimostrato nel corso della sua vita. La seconda trasferisce la lettura su un piano prettamente simbolico: la rappresentazione della vittoria sulla morte (il leone abbattuto) e la conseguente immortalità che il defunto ha ottenuto grazie alla sua virtus.

L’opera appartiene alla classe dei grandi sarcofagi con scene di caccia al leone del III e IV secolo d.C. , la tipologia principale e fu creata da officine urbane intorno al 230 d.C., traendo ispirazione dai sarcofagi decorati con scene mitologiche del II secolo d.C., che rappresentano la partenza e la caccia al cinghiale di Ippolito e i miti ripresi anche da quelli legati con le vicende di Adone e Meleagro; al cinghiale venne sostituita la figura più nobile del leone e, alla nudità eroica del protagonista, l’abbigliamento tipico del cacciatore, misto talora ad elementi militari.

Secondo l’opinione tradizionale il tema della caccia fa il suo ingresso, nell’arte ufficiale romana, al tempo di Adriano, ad esempio nei celebri tondi reimpiegati nell’Arco di Costantino, affermando un modello di virtus che includeva non solo le attività militari, ma anche le doti individuali dell’imperatore; non va trascurata l’influenza su queste raffigurazioni di caccia degli spettacoli che si svolgevano nell’anfiteatro, in particolare nelle Venationes, che così vasta eco conobbero nel repertorio figurativo di vari generi artistici, nel corso del III e del IV secolo d.C.

Il sarcofago fu rinvenuto sulla via Appia, presso la Vigna Moroni.