Il Campidoglio

Il prezioso disegno architettonico della piazza del Campidoglio che si offre a chi sale dalla monumentale cordonata è il frutto di un geniale progetto michelangiolesco, ma rappresenta anche l’esito di una storia millenaria che ha individuato nel colle capitolino il centro religioso e politico della città.

Preistoria

In origine il colle era caratterizzato da due alture boscose, l’Arx e il Capitolium, separate da una piccola valle centrale nella quale la tradizione pone il mitico Asylum, istituito da Romolo per accogliere gli abitanti dei centri vicini. Ma le leggende tramandate sulle origini della città appaiono oggi, alla luce delle ricerche condotte nell’area del Palazzo dei Conservatori, più aderenti alla realtà storica e scientificamente documentabili attraverso le testimonianze archeologiche.

Sono emersi, infatti, strati archeologici relativi alla fase più antica del Campidoglio, che mostrano tracce di frequentazione del colle a partire dall’Età del Bronzo finale (1200-1000 a.C.): gli importanti risultati degli scavi, ancora del tutto preliminari, hanno permesso di riconoscere labili tracce di un insediamento al quale sono riferibili anche alcune sepolture di bambini, nonché i resti di una diffusa attività artigianale legata alla lavorazione dei metalli.

Età Romana

In età storica il Campidoglio si configura come la vera e propria acropoli sacra della città: sul Capitolium venne edificato dagli ultimi re della tradizione romana, i Tarquinii, il Tempio di Giove Capitolino, inaugurato però nel primo anno dell’era repubblicana, il 509 a.C.

Esso divenne il simbolo della civiltà romana, replicato in tutte le nuove città fondate da Roma e meta delle cerimonie trionfali in onore dei generali che tornavano vittoriosi: una lunga processione che attraversava la città facendo sfilare prigionieri e bottini di guerra approdava, attraverso la via Sacra, al Tempio di Giove, nel nome del quale erano state intraprese le campagne di conquista.

Recenti indagini archeologiche hanno permesso di mettere in luce le possenti fondazioni del tempio, perfettamente conservate e inglobate nelle strutture del cinquecentesco Palazzo Caffarelli. Sull’arx, l’altura che la tradizione assegna al popolo sabino e sulla quale oggi sorge l’imponente mole della basilica dell’Aracoeli, sorse il Tempio di Giunone Moneta, sede della zecca dello Stato romano.

Alla fine dell’età repubblicana le pendici del Campidoglio verso il Foro furono regolarizzate costruendo le possenti strutture del Tabularium, sede dell’Archivio di Stato romano: l’imponente edificio rispettò il preesistente Tempio di Veiove (196 a.C.), dalla caratteristica disposizione trasversale, dedicato a questa misteriosa divinità vicina a Giove e al mondo degli inferi.

Altri numerosi templi capitolini sanciscono la sacralità del colle e, in età repubblicana, manifestano la contesa per la supremazia tra le famiglie più importanti della nobiltà romana attraverso la costruzione di edifici pubblici: oltre al Tempio di Giove Capitolino, le fonti riportano nell’area l’esistenza di altri santuari dedicati a Giove Feretrio, a Fides, a Mens, a venere Ericina, a Ops, a Giove Tonante, a Marte Ultore, a Giove Custode.

Nel medioevo gli edifici antichi sono caduti in abbandono, ma il ricordo dell’antica grandezza si perpetua nella descrizione dei Mirabilia: “Capitolium è chiamato perché era il capo di tutto il mondo, perché vi abitavano i consoli e senatori per governare la città e il mondo. Il suo volto era difeso da mura alte e solide, rivestite interamente di vetro e oro e di opere mirabilmente intagliate.

All’interno della rocca sorgeva un palazzo, quasi tutto ornato d’oro e di pietre preziose, che pare valesse la terza parte del mondo intero […]”. Le strutture del Tabularium vengono trasformate in rocca dalla famiglia dei Corsi: onde evitare che in questo luogo si insediasse un pericoloso centro di potere, alternativo a quello costituito, i Corsi vengono cacciati prima da Enrico IV (1084) poi da Pasquale II (1105). Nel 1130, con la bolla di Anacleto II, la proprietà del colle Capitolino viene concessa ai benedettini dell’Aracoeli.

La storia architettonica del Campidoglio si intreccia, per tutto il medioevo, con le vicende delle istituzioni comunali: dal 1143/1144 – anno di nascita del Comune romano – una rivoluzione antipapale (renovatio Senatus) insedia in Campidoglio una magistratura collegiale di cinquanta Senatori con funzioni di governo cittadino e giudiziale.

All’inizio del Duecento questa magistratura viene sostituita da quella di uno o due Senatori affiancati da un Consiglio Comunale con potere deliberante. Nel 1299 il Palazzo Senatorio si trasforma con l’apertura di una loggia affacciata sulla piazza che ospita il mercato; si sancisce così il ribaltamento della prospettiva: mentre in età romana i monumenti principali del colle sono rivolti verso il centro monumentale della città (cioè verso il Foro), nel medioevo il Campidoglio si apre verso il Campo Marzio. Nel 1363, con i primi statuti cittadini, si definisce la forma di governo scelta dalla città: un solo Senatore straniero affiancato da tre magistrati elettivi, i Conservatori, rappresentanti dei nuovi ceti sociali giunti al potere.

Nel Quattrocento il Palazzo Senatorio appare come una fortezza munita di torri -costruite da Bonifacio IX (1389-1404), Martino V (1427) e Niccolo V (1447-1455) -mentre la facciata sulla piazza, munita di una doppia scala, presentava tre finestre a croce guelfa e una loggia al secondo piano; a quest’epoca deve anche risalire una trasformazione in forma monumentale del vecchio palazzo dei Banderesi (capitani della milizia cittadina) come sede dei Conservatori (documenti del XV secolo ne attribuiscono la costruzione a Niccolo V).

La convivenza tra le istituzioni comunali e il papato non è sempre pacifica, ma nel frattempo si sancisce la distinzione tra Campidoglio come luogo della memoria e Vaticano come luogo del potere pontificio. Nel 1471 questa funzione del Campidoglio viene nobilitata dalla donazione di Sisto IV al Popolo Romano dei grandi bronzi fino ad allora conservati nel Patriarchio lateranense, decretando l’istituzione del più antico museo pubblico del mondo: la Lupa, posta sulla facciata del Palazzo dei Conservatori, diventa il simbolo della città, mentre nel portico esterno viene sistemato il grande ritratto bronzeo di Costantino, con la “palla Sansonis”.

È sostanzialmente questo l’aspetto della “platea” Capitolina quando, nel 1537, Paolo III Farnese commissiona a Michelangelo il trasferimento dal Laterano e la sistemazione al centro della piazza della statua equestre di Marco Aurelio, salvatesi dalla sistematica perdita dei bronzi antichi perché creduto nel medioevo Costantino, primo imperatore cristiano.

Il progetto papale – fieramente osteggiato dai canonici lateranensi e, pare, da Michelangelo stesso – fu realizzato l’anno seguente; la presenza del nuovo fulcro al centro della piazza, straordinariamente carico di significati simbolici e di valori storici, e, insieme, foltissima “presenza” dal punto di vista spaziale, sancirà il futuro aspetto della piazza Capitolina. Il programma di sistemazione dell’area affidato dal papa al genio di Michelangelo, probabilmente già in nuce all’epoca del trasferimento del grande monumento bronzeo di Marco Aurelio, cominciò a prendere forma nei decenni successivi e non vide la sua conclusione che più di un secolo dopo, con il completamento della costruzione del Palazzo Nuovo.

Il rinnovamento cominciò dal Palazzo Senatorio che – pur conservando al suo interno i resti antichi del Tabularium e le strutture medioevali e rinascimentali, segno della sua ininterrotta vicenda edilizia – fu trasformato, nel lato verso la piazza, da una imponente facciata, scandita da lesene di ordine gigante e da un doppio scalone monumentale che permetteva di raggiungere il “piano nobile”, dove anticamente si apriva la loggia e dove si trovava l’aula del Senatore.

La facciata si arricchì poi di una fontana, ai lati della quale furono poste le grandi statue dei Fiumi, rinvenute all’inizio del secolo al Quirinale e giacenti sulla piazza, davanti alla facciata del Palazzo dei Conservatori, fin dal 1513; al centro, in una nicchia, fu posta un’antica statua in porfido di Minerva seduta, trasformata in dea Roma con l’aggiunta degli attributi tipici della divinità; il programma decorativo fu completato nel 1588.

Dal 1563, sotto il pontificato di Pio IV, si diede invece inizio alla trasformazione del Palazzo dei Conservatori. L’antica facciata era caratterizzata da un lungo portico ad arcate su colonne e connotata dalla presenza di due delle più prestigiose opere delle collezioni capitoline: la Lupa e la testa colossale bronzea di Costantino. La Lupa, assurta a simbolo civico in sostituzione del leone – dal medioevo davanti al Palazzo Senatorio – e poi trasferita all’interno “in una loggia coperta che riguarda sopra la città piana” (Aldrovandi), era stata completata con una coppia di gemelli che la trasformavano da simbolo di giustizia – ruolo che aveva rivestito presso il Laterano – a Mater Romanorum.

La testa colossale era stata spostata all’interno del cortile, dove andava a ingrossare le fila dei monumenti che anno dopo anno arricchivano le raccolte capitoline di antichità. Il progetto di Michelangelo, che fu portato a compimento solo dopo la sua morte, rinserrò la struttura quattrocentesca del palazzo all’interno di un disegno geometrico scandito da un ordine gigante di lesene corinzie; regolarizzò poi la forma del cortile e inserì, all’interno del corpo dell’edificio, uno scalone monumentale per raggiungere il livello superiore, in luogo della scala esterna esistente nel cortile e visibile in alcuni disegni antichi; modificò inoltre in qualche parte la disposizione interna delle sale.

L’andamento leggermente divergente della struttura del palazzo rispetto al fronte del Senatorio e all’asse centrale della piazza – segnato dalla statua equestre di Marco Aurelio – suggerirono di completare il disegno architettonico della piazza progettando un palazzo gemello sul lato opposto, ugualmente divergente in modo da accompagnare lo sguardo di chi saliva al Palazzo Senatorio dall’ampia cordonata proveniente dal Campo Marzio (anch’essa ripensata), in un programma urbanistico di equilibrio ed eleganza straordinari.

La concezione del progetto, testimoniata da una serie di incisioni di Etienne Dupérac (datate 1567-1569), troverà il suo logico completamento solo con la costruzione del Palazzo Nuovo, sulla sinistra della piazza fino ad allora limitata dal muragliene di sostegno della grandiosa basilica dell’Aracoeli; nel 1596, su disegno di Giacomo della Porta, fu sistemata su questo lato la grandiosa fontana del Martorio; ma solo nel 1603, sotto il pontificato di Clemente VIII, avvenne la posa della prima pietra dell’edificio, che seguiva, con piccole varianti, il progetto michelangiolesco.

Dopo tormentate vicende edilizie il lavoro fu portato a termine con papa Alessandro VII nel 1667, ma l’inaugurazione della nuova sede museale, destinata ad accogliere le collezioni capitoline di antichità, dovette attendere il 1734 e il pontificato di Clemente XII. A questo punto la piazza del Campidoglio aveva progressivamente raggiunto l’aspetto definitivo: la balaustra che prospetta verso il Campo Marzio si era andata arricchendo delle due grandi statue dei Dioscuri, rinvenute nella zona del Ghetto, degli imponenti “Trofei di Mario”, rimossi dalla grande fontana monumentale dell’Esquilino, e delle statue di Costantino e del figlio Costantino II, qui trasferite dall’Aracoeli.

Un ultimo elemento mancava al completamento del progetto michelangiolesco: il prezioso disegno pavimentale stellato, che compare nelle incisioni di Dupérac ma che venne realizzato solo nel 1940. L’occasione fu offerta dai grandi lavori che, insieme all’isolamento dell’intero colle Capitolino, permisero di scavare una galleria sotterranea di collegamento fra i tre palazzi che si affacciano sulla piazza.

La realizzazione della nuova pavimentazione ispirata, sebbene non perfettamente aderente, al disegno di Michelangelo chiuse il capitolo della definizione di uno spazio architettonico pienamente coerente e “perfetto” che aveva richiesto secoli di elaborazioni e aggiustamenti. In questo senso il Campidoglio rappresenta un complesso museale di straordinaria valenza storica e culturale: ne fanno organicamente e armonicamente parte la piazza, i palazzi, le collezioni archeologiche e storico-artistiche, e ora, con la riapertura del collegamento sotterraneo, anche i principali monumenti antichi.

La formazione delle raccolte

La formazione delle raccolte capitoline di antichità si inquadra nel più vasto fenomeno che a partire dal XV secolo interessa il patrimonio archeologico dell’antica Roma, sentito non più in funzione di un potenziale riuso, ma come oggetto di interesse antiquario e collezionistico.

La donazione da parte del pontefice Sisto IV, nel 1471, di quattro celeberrime sculture in bronzo – la Lupa, lo Spinano, il Camillo, la testa bronzea di Costantino con la mano e il globo – fino a quel momento collocate davanti al Patriarchio lateranense e perciò simbolo di continuità tra la Roma imperiale e il potere temporale della Chiesa, segna l’inizio del rifluire sul Campidoglio di antiche opere scultoree e la nascita del complesso museale capitolino.

Secoli di devastazione e di abbandono, seguiti alla caduta dell’impero romano, avevano infatti completamente spogliato il colle dei templi, degli archi onorari e delle statue che avevano reso celebre il Capitolium fulgens, ricordato con stupore dagli scrittori romani di epoca tarda. Le opere che avevano costituito il thesaurus Romanitatis, una sorta di eredità del mondo antico che la Chiesa aveva raccolto e gelosamente custodito per tutto il medioevo, venivano ora, con gesto fortemente simbolico, restituite ai Romani per essere collocate sul colle sacro alle memorie storiche.

Di questo evento rimane memoria nella lunga iscrizione ancor oggi conservata nella lapide posta all’ingresso del Palazzo dei Conservatori: essa costituisce il prezioso atto di nascita del complesso museale capitolino, ricordando il munifico dono che, “ob immensam benignitatem” Sisto IV volle fare al Popolo Romano. Con sapiente regia, nel procedere del testo, viene infatti precisato che non si tratta di una semplice donazione, ma di una vera e propria “restituzione” delle insigni opere bronzee, testimonianza dell’antica grandezza di quello stesso popolo romano che le aveva create: “Aeneas insignes statuas – priscae excellentiae virtutisque monumentum – Romano populo unde exorte fuere restituendas condonandasque censuit”.

Il prezioso dono sistino è chiaramente volto ad affermare il predominio della potestà pontificia sul Campidoglio mediante la consacrazione di questo antico colle a simbolo della memoria storica di Roma, in contrapposizione al ruolo ad esso attribuito di centro propulsore dell’autonomia civica, tenacemente difeso dalla magistratura capitolina. Ha inizio in questo modo un confronto – che si servirà del linguaggio dei simboli – tra il potere papale e quello comunale, che porterà, nell’arco di un secolo, alla completa trasformazione della piazza Capitolina.

Due vedute cinquecentesche, un disegno di Marten van Heemskerck e un affresco nella Sala delle Aquile del Palazzo dei Conservatori, documentano con grande fedeltà lo stato dell’area nella prima metà del Cinquecento, ancora caratterizzato dall’assetto medioevale. Il piccolo affresco testimonia, peraltro, l’inizio del processo di trasformazione determinato con il trasferimento dal Laterano, nel 1538, della statua equestre di Marco Aurelio, che diverrà il punto focale del programma di risistemazione architettonica della piazza voluto da Paolo III e progettato da Michelangelo.

Nel disegno di Heemskerck, solo di qualche anno più antico, è ancora presente nella sua collocazione medioevale, in cima allo scalone di accesso al Palazzo Senatorio, il gruppo del “Leone che azzanna il cavallo”.

Quest’opera, divenuta simbolo del potere giuridico dell’autorità senatoria, era l’unica scultura antica presente sul Campidoglio prima della donazione di Sisto IV: essa caratterizzava il locus iustitiae, già ricordato nei documenti trecenteschi, presso il quale si pronunciavano e talvolta si eseguivano le sentenze capitali. Con la sistemazione della facciata del Palazzo Senatorio, in occasione della trasformazione della piazza Capitolina in chiave monumentale, questa scultura entrerà a far parte delle collezioni capitoline di antichità.

Nello stesso disegno, oltre alla testa bronzea di Costantino collocata all’interno delle arcate, compare sulla facciata del Palazzo dei Conservatori la statua della Lupa, trasferita, per volontà di Sisto IV, dal campus Lateranensis. Le figure dei gemelli furono aggiunte, a opera di un artista non ancora identificato, prima del 1509. Si volle con questo intervento cancellare definitivamente il carattere sinistro di simbolo di giustizia che la Lupa aveva avuto in Laterano e sottolinearne invece quello di Mater Romanorum, più consono a un’opera divenuta ormai emblema del potere comunale.

Tra la data di esecuzione del disegno (1532-1537) e quella dell’affresco (1541-1543) la Lupa fu spostata all’interno del palazzo “in porticu interiori prope aulam” ossia nell’ambiente porticato che si apriva all’estremità destra del palazzo, presso la sala principale detta ora “degli Orazi e Curiazi”. Tra la fine del Quattrocento e la metà del XVI secolo giungono in Campidoglio importanti opere di scultura antica, creando davanti al Palazzo dei Conservatori una cospicua raccolta; con questo patrimonio antiquario di grandissimo valore storico e artistico si consolida il ruolo del colle Capitolino come museo pubblico di antichità.

Tra le prime opere destinate ad accrescere il nucleo originario dei bronzi donati da Sisto IV, un ruolo di grandissima importanza riveste la statua bronzea di Ercole, trovata all’epoca dello stesso Sisto IV nel Foro Boario e acquistata dai Conservatori, che la sistemarono su un’alta base davanti al loro palazzo come “monumento della gloria di Roma”. Questa statua, copia da un originale greco del IV secolo, fu successivamente spostata, prima nel cortile, dove la vide lo Heemskerck, e poi trasferita all’interno, nell’Appartamento dei Conservatori (cfr. U. Aldrovandi, Delle statue antiche che per tutta Roma in diversi luoghi e case si veggono, Venezia 1556, p. 273).

Nel 1513 furono poste al lati dell’ingresso del palazzo le due colossali statue di divinità fluviali, provenienti dalle terme costantiniane sul Quirinale: queste sculture di età traianea entrarono a far parte, nel 1588-1589, dell’apparato scultoreo del monumentale scalone d’accesso al Palazzo Senatorio.

Di poco successiva (1515) è l’acquisizione dei tre grandi pannelli ad altorilievo con scene relative alla vita di Marco Aurelio, appartenenti alla decorazione scultorea che ornava un monumento celebrativo innalzato all’imperatore in occasione del trionfo del 176 d.C.

Questi rilievi segnano una delle espressioni più alte della scultura a soggetto storico che l’arte romana ci abbia tramandato: le scene con la sottomissione dei barbari, il trionfo e il sacrificio davanti al Tempio di Giove Capitolino sono inoltre documenti di eccezionale valore destinati a rappresentare l’ideale continuità tra il mondo antico e il Campidoglio rinascimentale. Conosciamo con sufficiente precisione l’articolazione delle raccolte capitoline agli inizi del XVI secolo grazie alle opere di F. Albertini, l’Opusculum de Mirabilibus, del 1510, e all’Antiquaria Urbis del Fulvio, del 1513.

Sappiamo infatti che all’inizio del Cinquecento gran parte delle sculture furono sistemate all’interno del Palazzo dei Conservatori, mentre quelle di maggior mole trovarono posto nel cortile. Questo – che oggi vediamo nel suo assetto settecentesco, modificato rispetto a quello rinascimentale con l’aggiunta del portico sulla parete di fronte all’ingresso, ove fu collocata la Roma Cesi e le statue dei barbari in marmo bigio – ospitò sul lato destro l’Ercole del Foro Boario e i resti del grande acrolito di Costantino della Basilica di Massenzio; sul lato sinistro furono invece collocati i tre rilievi di Marco Aurelio, fatti trasferire da Leone X dalla chiesa dei Santi Luca e Martina al Foro Romano.

Nel 1594 la testa dell’acrolito di Costantino fu collocata sul timpano che sovrastava la Fontana di Marforio, posta a decorare il muraglione di sostegno della chiesa dell’Aracoeli. Il ritratto colossale ritornò definitivamente nel cortile dei Conservatori nel 1659, come è testimoniato da un disegno di Stefano della Bella.

Nel 1541 fu sistemata sul prospetto principale del cortile, entro una nicchia di fronte all’ingresso, una grande statua di Atena scoperta e donata alla magistratura civica al tempo di Paolo III. Qualche tempo dopo questa statua fu al centro di una vivace querelle nel momento in cui, sotto Sisto V, venne utilizzata come elemento centrale della decorazione dello scalone michelangiolesco del Palazzo Senatorio. La colossale scultura doveva essere già stata rimossa dalla parete di fondo del cortile per consentire la sistemazione dei frammenti dei Fasti Consolari, ritrovati nel 1546 nel Foro Romano, e donati qualche anno dopo dal cardinal Farnese al Popolo Romano.

Dalla testimonianza di Onofrio Panvinio risulta che lo stesso Michelangelo prestò la sua opera per la ricomposizione dei frammenti recuperati e per la loro sistemazione architettonica in Campidoglio: i Fasti Capitolini, trasferiti nel 1583 nell’attuale Sala della Lupa, furono rimontati secondo il progetto michelangiolesco, che tuttavia subì in questa occasione profondi rimaneggiamenti. Le notizie di cui disponiamo per la storia più antica della collezione fotografano la situazione delle collezioni capitoline alla vigilia di due avvenimenti straordinari, che ne determinarono una radicale trasformazione: con il 1563 ebbero infatti inizio i lavori per il rinnovamento del Palazzo dei Conservatori e la conseguente risistemazione delle opere ivi conservate, mentre nel 1566 vennero acquisite le opere donate al Popolo Romano da Pio V nell’intenzione di “purgare il Vaticano dagli idoli pagani”.

Anche se il programma iniziale del Pontefice di cedere circa 150 statue delle collezioni vaticane fu poi notevolmente ridimensionato, tuttavia un numero considerevole di opere, originariamente collocate nel Teatro del Belvedere, giunse in Campidoglio e andò in parte ad arricchire lo “statuario”, successivamente ospitato al piano terreno del Palazzo dei Conservatori. Alcune statue furono invece poste sulla vecchia torre campanaria del Palazzo Senatorio e sulla facciata dello stesso edificio, in attuazione del progetto di Michelangelo, secondo quanto documentato dalle incisioni di Dupérac.

Con la ristrutturazione del Palazzo dei Conservatori le opere già nella collezione capitolina e altre donate o acquisite successivamente poterono trovare un’idonea sistemazione. Sculture di gran pregio entrarono a far parte delle raccolte nella seconda metà del XVI secolo: tra queste le due statue di Giulio Cesare e del Navarca, il Bruto Capitolino e la Lex de imperio Vespasiani.

Questo straordinario cimelio fu collocato nel 1568 nella Sala degli Orazi e Curiazi, dove avevano anche trovato posto la mano e il globo di Costantino, provenienti dal portico esterno del palazzo. Nel cortile, anch’esso completamente ristrutturato, furono sistemati sia il grande sarcofago di Alessandro Severo, acquisito nel 1590, sia il gruppo del Leone che azzanna il cavallo, restaurato in questa occasione da Ruggero Bescapè.

Una volta completati i lavori di ristrutturazione del Palazzo dei Conservatori si procedette a una nuova sistemazione dei rilievi di Marco Aurelio, che vennero murati sul primo ripiano dello scalone dove ancora oggi si trovano. Solo molti anni più tardi dovevano essere collocate sulla balaustra che chiude la piazza verso la cordonata le due statue colossali dei Dioscuri: queste, rinvenute intorno al 1560, furono erette con grande difficoltà sui rispettivi piedistalli a causa della notevole frammentarietà delle opere che rese necessario un impegnativo restauro, iniziato nel 1582 e durato molti anni. L’opera di abbellimento della balaustra che chiude la piazza capitolina verso la cordonata fu continuata all’epoca di Sisto V con la sistemazione, nel 1590, dei cosiddetti “Trofei di Mario” che ornavano, in antico, la fontana monumentale eretta da Alessandro Severo sull’Esquilino; in questa occasione furono anche posti ai piedi della cordonata due leoni egizi.

Secondo quanto rilevato dal Michaelis “il secolo decimosettimo fu altrettanto infruttuoso, riguardo all’ingrandimento della collezione, quanto il precedente era stato fecondo”. Il diffondersi del collezionismo privato e la nascita delle grandi raccolte dei palazzi patrizi assorbivano infatti quanto di meglio si trovava sul mercato antiquario. Un disegno di Stefano della Bella, successivo al 1659, da un’idea del sovraffollamento che caratterizza il cortile, ma che doveva interessare in maniera del tutto analoga anche le sale del Palazzo dei Conservatori, rendendo complesso lo svolgimento delle funzioni dell’antica magistratura civica che quegli ambienti aveva in uso come sede di ufficio e di rappresentanza.

La destinazione museale del Palazzo Nuovo – la cui costruzione sul lato sinistro della piazza, avviata sotto Clemente Vili nel 1603, fu portata a termine solo una cinquantina di anni più tardi a opera di Carlo Rainaldi – fu definita solo nel 1733 con l’acquisto da parte di Clemente XII della Collezione Albani. Nei decenni precedenti questo edificio era già stato occupato da un cospicuo numero di statue provenienti dal Palazzo dei Conservatori: a queste e al nucleo principale della Collezione Albani, caratterizzata da una straordinaria raccolta di ritratti di uomini celebri, di filosofi e di imperatori, si aggiunsero, subito dopo l’inaugurazione del museo, nel 1734, ulteriori donazioni da parte dello stesso Clemente XII e di Benedetto XIV.

Dal Galata morente (1734) al Satiro in rosso antico (1746), al gruppo di Amore e Psiche e infine alla celebre Venere Capitolina (1750), numerose opere, già in collezioni private o di recente rinvenimento, andarono ad arricchire le sale ornate con gli stemmi di Innocenze X e Alessandro VII.

Nel 1744 la Forma Urbis marmorea, di epoca severiana, fu donata da Benedetto XIV e sistemata, ripartita in ventisei riquadri, lungo lo scalone che porta al primo piano del museo. Questo eccezionale documento storico-topografico, scoperto due secoli prima presso la chiesa dei Santi Cosma e Damiano, rimase nel Museo Capitolino fino agli inizi di questo secolo. Tra le ultime pregevoli acquisizioni, sono da annoverare i due Centauri in bigio morato, collocati al centro del Salone, e il finissimo Mosaico delle Colombe, tutti provenienti dalla villa dell’imperatore Adriano presso Tivoli e donati da Clemente XIII nella seconda metà del Settecento.

Il Museo Capitolino rappresenta una testimonianza straordinaria di ordinamento museale settecentesco che ha conservato nel tempo, quasi inalterato, il suo aspetto originario: questo è immediatamente riscontrabile nel confronto delle sale con disegni del XVIII e XIX secolo. Nell’incisione di Natoire (1759), raffigurante l’atrio del museo e il cortile, è evidenziata la Fontana del Marforio nella sua nuova sistemazione settecentesca, mentre nella litografia del Benoist (1870) è visibile nel passaggio verso la Galleria l’Ercole in bronzo dorato già nel cortile del Palazzo dei Conservatori.

La disposizione originaria delle opere all’interno delle sale, con la loro articolazione per categorie, e la peculiarità dei criteri di restauro che hanno determinato la ricostruzione e l’interpretazione delle sculture antiche, contribuiscono a evidenziare il carattere particolare della raccolta, come testimonianza del colto collezionismo dei secoli passati.

L’istituzione nel 1771 del Museo Pio Clementino in Vaticano segnò, per l’incremento delle raccolte archeologiche capitoline, una pesante battuta d’arresto: l’attenzione dei pontefici fu infatti, da quel momento, interamente rivolta al nuovo museo. La situazione si fece drammatica per il complesso museale capitolino quando con il trattato di Tolentino, nel 1797, molte tra le più celebri opere delle collezioni civiche, furono trasferite in Francia.

Solo il tenace interessamento del Canova consentì, dopo la caduta di Napoleone, nel 1815, che le opere principali tornassero in Italia. Fu così che lo Spinario, il Bruto, la Venere Capitolina e il Galata morente poterono essere ricollocati nelle loro sedi originarie. Per volontà di Gregorio XVI, nel 1838, il Museo Capitolino fu restituito alla magistratura civica, ma fu depauperato della ricca collezione di sculture egizie e acquisì, in cambio, alcune opere tra le quali il sarcofago Amendola e l’Atena tipo Velletri.

Poche ma significative furono le acquisizioni nei primi settant’anni del XIX secolo: particolarmente rilevante il gruppo di grandi bronzi rinvenuti nel vicolodelle Palme a Trastevere (1848), la collezione dei vasi greci ed etruschi donata da Augusto Castellani e soprattutto un raccolta di monete antiche che andò a costituire il nucleo principale del Medagliere Capitolino.

Il 1870, con il trasferimento a Roma della capitale del nuovo regno d’Italia, e gli avvenimenti di fine secolo segnarono una tappa fondamentale nella vita e nello sviluppo della città, che si riflette in maniera molto evidente nella trasformazione e nell’ampliamento del complesso museale capitolino.

Infatti, anche l’ordinamento delle collezioni archeologiche, che aveva trovato nel Palazzo Nuovo il suo polo principale con una grande raccolta di scultura antica, subì un profondo mutamento. Il prevalente carattere antiquario delle raccolte, formatesi per donazioni o acquisti, fu infatti sostituito, grazie al rilevante apporto di materiali provenienti dagli scavi in ambito urbano, da un’impostazione di carattere scientifico.

La febbrile attività edilizia e i conseguenti lavori di sbancamento di vaste aree periferiche, intrapresi dalla nuova classe politica per dotare la capitale degli edifici pubblici e dei quartieri residenziali necessari alle mutate esigenze, portarono infatti al recupero di un’ingente quantità di materiale archeologico.

Un nuovo settore museale nacque così nel Palazzo dei Conservatori, che aveva perso la sua funzione di sede ufficiale dell’omonima magistratura civica e potè consentire anche l’allestimento di un padiglione ligneo per una temporanea presentazione delle opere recuperate nei grandi sterri eseguiti in ambito urbano. Un ampliamento e una nuova sistemazione di questo settore del Museo del Palazzo dei Conservatori furono curati da Rodolfo Lanciani nel 1903; si rese così possibile un migliore ordinamento dei materiali secondo nuovi criteri museografici, volti a sottolineare l’importanza dei dati di scavo.

Le opere furono quindi distribuite nelle sale a seconda dei contesti di provenienza, privilegiando una lettura più articolata del dato archeologico rispetto a una visione di stampo “antiquario” che tendeva a sottolineare il valore estetico delle sculture come capolavori dell’arte antica. Negli anni del Governatorato, e in particolare tra il 1925 e il 1930, si realizzò un profondo rinnovamento delle strutture museali capitoline che portò, con l’acquisizione di Palazzo Caffarelli, già proprietà austriaca, alla costituzione di un nuovo settore museale.

Il Museo Mussolini, che prese successivamente il nome di Museo Nuovo, fu allestito con opere scultoree provenienti anch’esse dai ritrovamenti ottocenteschi o trasferite in questa occasione dall’Antiquarium Comunale al Celio. La sistemazione delle opere non seguì, in questo caso, il nuovo ordinamento topografico voluto dal Lanciani per il Museo del Palazzo dei Conservatori, ma un criterio espositivo volto a ripercorrere le tappe più significative dell’arte greca attraverso copie romane ispirate a originali greci.

Nello stesso tempo sorgeva nel 1929 sul Celio il nuovo Antiquarium, ampliato negli spazi e completamente rinnovato nei contenuti espositivi, incentrati sulle testimonianze relative alla storia più antica della città, dalle origini all’età repubblicana, con gli oggetti della vita quotidiana a Roma in epoca imperiale.

Dopo questo momento di rinnovamento delle strutture museali capitoline, salutato con grande favore anche dal mondo accademico contemporaneo, nuovi gravi problemi interessarono le raccolte poste sotto la giurisdizione del Governatorato: l’inagibilità della sede dell’Antiquarium al Celio a partire dal 1939 e la notevole quantità di materiali di grande rilevanza artistica e scientifica recuperati in varie parti della città, ma soprattutto intorno alle pendici del Campidoglio in occasione dell’isolamento del colle, riproposero con grande urgenza il problema di reperire nuovi spazi per l’ampliamento della sede museale.

Solo nel 1956 la creazione di un nuovo settore del Palazzo dei Conservatori, il Braccio Nuovo, consentì l’esposizione di alcune sculture di grandissimo significato appartenenti a monumenti repubblicani o primo-imperiali recuperati alle pendici del Campidoglio e negli scavi di largo Argentina. Nello stesso periodo fu utilizzata, come sede espositiva della Raccolta Epigrafica, la galleria sotterranea esistente al di sotto della piazza Capitolina, che costituisce lo straordinario asse di collegamento tra il Palazzo dei Conservatori, il Palazzo Nuovo e il Palazzo Senatorio con il Tabularium e il Tempio di Veiove.

Alla storia delle raccolte capitoline, che sembravano aver ottenuto con gli ordinamenti del dopoguerra il loro assetto definitivo, si può invece aggiungere un altro significativo capitolo. Il procedere degli studi e delle ricerche all’interno del museo e nei numerosi depositi a esso correlati ha portato infatti, in questi ultimi decenni, a importanti acquisizioni di opere e complessi scultorei e all’esigenza di nuove presentazioni per quelli già noti. I lavori di ristrutturazione dei Musei Capitolini, articolati in successivi momenti attuativi, hanno portato, da un lato, alla creazione di una nuova sede museale decentrata, la Centrale Montemartini, e, dall’altro, al recupero e alla creazione di nuovi spazi nell’ambito dello stesso complesso museale.

La Centrale Montemartini, destinata inizialmente a essere solo uno spazio espositivo temporaneo per le raccolte capitoline, è diventata invece sede permanente per un settore delle collezioni. La scoperta dei grandiosi resti del Tempio di Giove Capitolino all’interno delle sale del Museo Nuovo, avvenuta nel corso dei lavori di ristrutturazione, ha infatti determinato l’impossibilità di riallestire questi spazi museali secondo il vecchio ordinamento, individuando proprio nella Centrale Montemartini la sede ideale per la presentazione al pubblico delle sculture. L’eccezionale ampiezza e luminosità degli spazi, e il suggestivo contrasto tra i vecchi macchinari della centrale elettrica perfettamente conservati e il nitore delle sculture classiche costituiscono gli ingredienti irrinunciabili per la piena fruibilità di un patrimonio artistico straordinario.

Tra questo, un posto di primo piano riveste il complesso architettonico del Tempio di Apollo Sosiano, recentemente recuperato nella sua articolazione monumentale grazie proprio alla disponibilità di spazi idonei. L’ampliamento degli spazi espositivi dei Musei Capitolini e il nuovo ordinamento delle collezioni nell’ambito del Palazzo dei Conservatori e del complesso Clementino-Caffarelli hanno portato alla musealizzazione del gruppo equestre del Marco Aurelio, a una coerente presentazione dei complessi scultorei, riordinati a seguito di accurate ricerche storiche e d’archivio, e a un’inedita esposizione dei materiali relativi al Campidoglio antico.