Il Palazzo Nuovo

Atrio

Lo spazio interno del pianterreno è articolato secondo la concezione architettonica che i palazzi secenteschi ripresero dalle antiche domus romane.

Il porticato, scandito da aperture e nicchie simmetricamente studiate e riquadrate da architravi e colonne in travertino, ospita le statue di maggiori dimensioni e alcuni capolavori un tempo appartenuti alla Collezione del Belvedere Vaticano e poi donate alla città di Roma.

Le volte di copertura, parte a botte, parte a “schifo”, creano una particolare variazione di luce e una suggestione visiva culminante nella parte centrale che si apre sul cortile interno. In alto sono posti grandi conchiglioni ornamentali che completano scenograficamente la decorazione, mentre alle pareti sono inserite epigrafi romane, per la maggioranza funerarie.

Cortile

La parete di fondo del cortile è costituita dalla cinquecentesca muraglia di contenimento dell’Aracoeli, a cui solo in seguito fu aggiunto il corpo frontale con portico terreno su modello dell’antistante Palazzo dei Conservatori.

Si cercò di nobilitarne la provvisoria e nuda stesura, dapprima con le statue costantiniane, poi con la testa colossale di Costantino e con il Marforio e, infine, con una vera fontana monumentale inserita nella nicchia al centro della muraglia.

Sala Egizia

La prima raccolta capitolina di antichità egizie ha inizio nel XVIII secolo, con l’acquisizione delle statue dei giardini di Villa Verospi Vitelleschi (Horti Sallustiani). La presenza di monumenti egizi sul colle capitolino è però documentata già in epoca medievale (obelisco di Ramsete II).

A differenza delle collezioni degli altri musei questa capitolina, all’interno di Palazzo Nuovo, non è costituita da reperti trasferiti dall’Egitto ma rinvenuti all’interno della città.

La collezione fu incrementata durante tutto il Settecento ma, nel 1838 quasi tutte le sculture egizie conservate in Campidoglio furono spostate in Vaticano.

Nel 1907, l’archeologo Orazio Marucchi riallestì il piccolo ma pregevole nucleo di reperti egizi, che vennero alla luce nel corso degli sterri collegati alla sistemazione urbanistica della capitale successiva al 1870 e nel corso degli scavi dell’area dell’Iseo Campense nel 1883.

Scalone

L’ampio scalone funge da collegamento tra il piano terreno e il primo piano del museo. Sulla parete di fondo sono inseriti rilievi pertinenti a sarcofagi della tarda età imperiale ed entro le edicole sculture, tra le quali quella di destra con una testa non pertinente al corpo, probabilmente un originale di età ellenistica.

Galleria

La lunga Galleria, che percorre longitudinalmente il primo piano del Museo Capitolino, collega le diverse sale espositive e si offre al visitatore come una numerosa e variata raccolta di statue, ritratti, rilievi ed epigrafi disposti dai Conservatori settecenteschi in maniera casuale, con un occhio rivolto più alla simmetria architettonica e all’effetto ornamentale complessivo che a quello storico-artistico e archeologico.

L’insieme risulta disordinato e disomogeneo, ma ha in sé il valore straordinario della memoria. Sulle pareti, entro riquadri, sono inserite epigrafi di ridotte dimensioni, tra le quali un consistente gruppo proveniente dal sepolcro comune (colombario) dei liberti e delle liberte di Livia. Le sculture sono illustrate a partire dalla parete sinistra.

Sala delle Colombe

La sala, che si apre a destra, prende il nome dal celebre mosaico pavimentale rinvenuto nel 1737 nella villa di Adriano a Tivoli e conserva in gran parte l’assetto settecentesco. Era denominata all’epoca “”Stanza delle Miscellanee” per la diversità, nella tipologia dei materiali, dei pezzi che conteneva. Si trattava per lo più di opere appartenenti alla collezione del cardinale Alessandro Albani, la cui acquisizione è all’origine del Museo Capitolino.

I ritratti maschili e femminili di privati, disposti al tempo su mensole lungo le pareti, sono tuttora allineati allo stesso modo, seppur con qualche variazione. Dal 1817 la sala fu denominata “del Vaso” dal grande cratere marmoreo a decorazione vegetale che ne occupava il centro, attualmente sul fondo della Galleria del Museo Capitolino. Le numerose iscrizioni sepolcrali romane che tappezzano la parte alta delle pareti di questo ambiente vennero affisse nella prima metà del Settecento e la loro disposizione non è stata mai alterata.

Nel novero delle acquisizioni del XVIII secolo vanno inclusi anche i reperti visibili nelle vetrine, all’interno delle quali sono da notare:

  • la tabula bronzea (III secolo d.C.) con cui il Collegio dei Fabri di Sentinwn (Sassoferrato, nelle Marche) assegnava a Coretius Fuscus il titolo onorifico di patrono;
  • la Tabula Iliaca, un frammento di bassorilievo miniaturistico (I secolo d.C.) con scene dell’Iliade omerica corredate da iscrizioni esplicative
  • un’iscrizione bronzea dall’Aventino, contenente una dedica a Settimio Severo e alla famiglia imperiale, posta nel 203 d.C. dai vigili della IV Coorte;
  • il Decreto di Pompeo Strabone con cui si concessero particolari privilegi ad alcuni cavalieri spagnoli militanti a favore dei Romani nella battaglia di Ascoli, durante la guerra sociale (90-89 a.C.);
  • il Senatoconsulto riguardante Asclepiade di Clazomene e gli alleati, il più antico resto di decreto in bronzo del senato (78 a.C.), conservato quasi per intero. Vi si legge l’attribuzione del titolo di amici populi Romani a tre navarchi greci che avevano combattuto al fianco dei Romani nella guerra sociale, o forse in quella sillana (83-82 a.C.). II testo è redatto in latino con una traduzione greca, rimasta nella parte inferiore della tavola, che ha permesso l’integrazione dello scritto mutilo.

Qui per un completo elenco delle opere conservatelì.

Sala degli Imperatori

In questa sala del Museo Capitolino, fin dall’apertura al pubblico, avvenuta nel 1734, i curatori delle raccolte artistiche vollero esporre tutti i busti, le erme e i ritratti raffiguranti gli imperatori romani e i personaggi della cerchia imperiale. Le opere qui esposte sono il frutto di una selezione ragionata che ha interessato questa particolare sezione della raccolta nel corso dell’ultimo secolo, venendo ampiamente sfoltita e ridisposta secondo criteri storici e logico-tematici più rigorosi e conseguenti.

Attualmente nella Sala degli Imperatori si trovano esposti 67 tra busti e ritratti e al centro una statua femminile seduta, mentre le pareti sono ornate da 8 rilievi antichi e da un’epigrafe onoraria moderna. I busti, disposti in gran parte su doppia fila di mensole marmoree, danno modo al visitatore di seguire cronologicamente lo sviluppo della ritrattistica romana dall’età repubblicana al periodo tardo-antico, offrendo una esemplificazione ricca dal punto di vista numerico e particolarmente notevole sotto l’aspetto qualitativo.

Nella serie maschile degli imperatori si può seguire l’evoluzione nel modo di portare i capelli e la barba (fino ad allora perfettamente rasata e in seguito portata lunga, “alla greca”, nell’intento d’apparire ispirati e filosoficamente impegnati), mentre nella serie femminile, l’evoluzione delle acconciature dei capelli, da quelle alte e frastagliate “a impalcatura” di tradizione flavia, a quelle caratterizzate da una più o meno alta crocchia “a ciambella” tipica per tutta l’epoca antonina.

Ben rappresentata è anche la casata severiana (193-217 d.C.) con i ritratti di Settimio Severo, impostato su di un imponente busto d’alabastro verde, di Giuria Domna, sua moglie, e dei figli Geta e Caracalla, e inoltre di Elagabalo, Massimino il re i capelli e la barba (fino ad allora perfettamente rasata e in seguito portata lunga, “alla greca”, nell’intento d’apparire ispirati e filosoficamente impegnati), mentre nella serie femminile, l’evoluzione delle acconciature dei capelli, da quelle alte e frastagliate “a impalcatura” di tradizione flavia, a quelle caratterizzate da una più o meno alta crocchia “a ciambella” tipica per tutta l’epoca antonina.

Sono presenti due ritratti di Augusto, il primo dei quali è relativo a un momento di poco successivo alla vittoriosa battaglia di Azio (31 a.C.), che ne segnò l’ascesa, mentre il secondo ci offre l’imperatore già nella piena maturità, cinto il capo da una trionfale corona di quercia, sereno e consapevole della sua auctoritas.

A questo ritratto di Augusto si può avvicinare il ritratto dell’imperatrice Livia, sua consorte, impreziosito da un ricco e alto diadema con trofeo di spighe e boccioli, che la assimila alla benefica e frugifera dea Cerere. Nella sala sono conservati numerosi ritratti femminili, con complesse acconciature, in qualche caso parrucche dai riccioli molto elaborati. Tra loro spiccano Faustina Maggiore (sposa di Antonino Pio) e Faustina Minore, che cambiava acconciatura a ogni nascita di figlio e della quale pertanto si conoscono otto tipi.

Molto pregevole è il ritratto della “Dama flavia”, dalla complessa e articolata acconciatura e dai raffinati tratti del volto. Singolare è il busto policromo di Dama romana, il cui ritratto proviene da Smirne ed è datato al periodo di Alessandro Severo. Come molti altri di questo tipo e di questo periodo, era composto per parti, con l’inserimento distinto della chioma; in età moderna fu restaurata la capigliatura, forse perduta, in nero antico.