La Pinacoteca Capitolina nasce con l’acquisizione, da parte di papa Benedetto XIV Lambertini, delle collezioni private dei Sacchetti e dei Pio.
Nel 1748 la famiglia Sacchetti, per far fronte ai creditori, si trovò nella necessità di vendere una cospicua parte della propria raccolta di dipinti. Le trattative furono condotte dal cardinale Valenti Gonzaga, Segretario di Stato e celebre collezionista, che acquistò per conto del papa 187 quadri.
Nel 1750 Bendetto XIV autorizzò il trasferimento in Spagna della collezione di dipinti del principe Giberto Pio, solo dopo aver esercitato il diritto di scelta su parte della collezione (126 dipinti).
Nel 1754, ancora una volta su suggerimento di Valenti Gonzaga, venne istituita in Campidoglio l’Accademia del Nudo: le opere, incamerate a fini di tutela (per evitarne la dispersione), venivano ad assumere anche un ruolo didattico nella formazione dei giovani artisti.
Nel 1818 la grande pala con il Seppellimento di Santa Petronilla del Guercino, rientrata dalla Francia, venne sistemata nell’omonima sala. Tra Otto e Novecento fu acquisito un piccolo gruppo di opere su tavola del XIV e XV secolo proveniente dalla Collezione Sterbini.
La Pinacoteca Capitolina ospita oggi anche importanti nuclei di arte decorativa e applicata, tra cui il più ricco è il lascito Cini di porcellane.
Sala I
Nella sala sono esposti dipinti su tavola dal tardo Medioevo al Cinquecento, che testimoniano i grandi cambiamenti avvenuti nella pittura italiana dal Trecento in avanti.
Opere di soggetto quasi sempre religioso, questi quadri illustrano anche la varietà della produzione, come rivelano i differenti formati. Nel caso dei dipinti medioevali, si tratta spesso di frammenti di polittici, lavori di grande formato destinati agli altari.
Nascono nuovi concetti e si affrontano in modo concreto problemi quali lo spazio, il volume dei corpi, il rapporto tra i colori. Firenze è il primo centro propulsore del rinnovamento,presto diffuso in numerose città italiane, sedi di signorie, di università, di corti locali: già nel corso del Quattrocento alla città toscana si affiancano nel ruolo di modelli di riferimento città come Napoli, Ferrara e Urbino (ma anche Padova e Bologna), alle quali presto si aggiungeranno Venezia e la stessa Roma.
Non sorprende pertanto il fatto di rintracciare anche in regioni apparentemente estranee alle grandi correnti artistiche opere stilisticamente mature, che fanno facilmente comprendere la rapidità con cui l’umanesimo pittorico si era diffuso.
Agli inizi del Cinquecento sono le grandi imprese romane di Raffaello e di Michelangelo a imprimere una decisiva svolta nella ricerca pittorica, fornendo una serie di modelli di riferimento destinati a perdurare nel tempo.
Sala II
In questa sala sono esposte opere provenienti da Ferrara, uno dei principali centri italiani del Rinascimento e sede della raffinata corte degli Este.
Per la sua posizione geografica, la città aveva naturalmente privilegiati rapporti culturali con Venezia, Padova e Bologna, anche se proprio la signoria degli Estensi consentiva scambi con numerose città italiane e straniere.
Rimasta a lungo indipendente, la città venne annessa allo Stato della Chiesa nel 1598. Questa vicenda causò lo spostamento della corte a Modena e provocò, tra l’altro, la nascita del collezionismo moderno. Proprio in seguito alla presa di Ferrara, infatti, le principali famiglie romane acquisirono numerosi dipinti delle raccolte estensi, non esitando inoltre a spogliare il ricco patrimonio di chiese e conventi: per questo motivo le collezioni pubbliche romane tuttora conservano importanti nuclei di arte ferrarese.
Nel caso della Pinacoteca Capitolina la folta presenza di quadri ferraresi deriva dal soggiorno nella città emiliana nella prima metà del XVII secolo dei cardinali Carlo Emanuele Pio e di Giulio Sacchetti.
Anche a Ferrara la produzione artistica è strettamente connessa alla realtà delle “botteghe”: intorno a un riconosciuto caposcuola si forma un’équipe di allievi e collaboratori, che non solo aiutano il maestro, ma ne riprendono e ne divulgano lo stile. Si tratta di una realtà operativa comune, nel lavoro artistico dei secoli passati, che a volte il gusto moderno, più legato ai concetti di autografia e di originalità, relega ingiustamente in una categoria inferiore.
Sala III
La sala è dedicata ai quadri veneti. Per la sua particolare situazione storica ed economica Venezia era rimasta a lungo estranea alle vicende italiane, dedicandosi a proficui rapporti commerciali con l’Oriente, una situazione che si rifletteva anche nella produzione artistica.
La perdita progressiva dei propri possedimenti nel Mediterraneo orientale, la definitiva dissoluzione dell’impero bizantino (nel 1453 Costantinopoli viene presa dai Turchi) e da ultimo la scoperta dell’America, spostano gli interessi economici e politici verso l’Italia.
In breve tempo gli artisti veneti colmano il divario con gli altri centri italiani. Il particolare risalto dato al colore è la caratteristica principale della pittura veneziana che esercitò finò alla metà del Settecento un’ampia suggestione su tutta la pittura europea.
Sala IV
La sala costituisce un punto di snodo, apertura e confronto con le adiacenti sale di santa Petronilla, di Pietro da Cortona e con la galleria Cini.
Le opere esposte sono databili tra il terzo e il sesto decennio del Seicento e sono ascrivibili all’intensa stagione dell’arte barocca.
Si tratta di opere eseguite a Roma, o strettamente connesse alla produzione romana, luogo di incontro, di formazione e di studio di artisti di varia provenienza.
Sala V
Le opere di questo ambiente appartengono a diversi momenti della produzione pittorica tra Cinque e Seicento, con una netta prevalenza di opere emiliane.
Esse offrono una preziosa testimonianza della varietà della produzione artistica che, accanto alle grandi opere per chiese e palazzi pubblici e privati,prevedeva l’esecuzione di lavori di formati ridotto per ambienti minori e, in parallelo, di copie da opere celebri, all’epoca molto richieste dal mercato.
Dipinti di questo tipo hanno avuto un ruolo fondamentale per la diffusione delle nuove proposte artistiche e per consentire lo studio dei grandi maestri a intere generazioni di giovani artisti.
Sala VI
Nella sala sono conservati dipinti di scuola bolognese realizzati tra la fine del secolo XVI e la prima metà del Seicento.
Alcune delle opere sono significative testimonianze di immagini religiose legate al nuovo spirito della Controriforma, che era stato codificato in campo artistico nel “Discorso sopra le immagini sacre e profane” (1582) del cardinale Gabriele Paleotti, vescovo di Bologna.
Sala di Santa Petronilla
La sala prende nome dal grandioso dipinto del Guercino e testimonia, attraverso alcune opere chiave, lo sviluppo della pittura a Roma tra la fine del secolo XVI e i primi decenni del Seicento.
A Roma erano avvenuti alla fine del Cinquecento due fatti nuovi, destinati a rivoluzionare il campo delle arti figurative. Nei primi anni Novanta era giunto dalla Lombardia Caravaggio e nel 1595 era arrivato da Bologna Annibale Carracci.
In modo diverso i due artisti segnarono profondamente il senso della ricerca pittorica: Caravaggio spostò l’attenzione sul dato della realtà, Annibale su un nuovo classicismo profondamente mediato sugli esempi antichi e su Raffaello.
Sala di Pietro da Cortona
Nella sala è riunito un importante nucleo di opere che Pietro da Cortona eseguì per la famiglia Sacchetti, a partire dai primi tempi della sua lunga permanenza a Roma, dove l’artista era giunto dalla natia Toscana nel 1612. Con la famiglia Sacchetti egli mantenne uno stretto rapporto per tutta la sua carriera.
Dall’intenso clima culturale romano dei primi decenni del Seicento nascerà intorno agli anni trenta il barocco, termine generico che definisce una complessa derivazione del classicismo. La stagione centrale del barocco coincide con il papato di Urbano VIII Barberini, che intervenne personalmente nella scelta programmatica degli artisti e di notevoli imprese urbanistiche e decorative.